Accordi composti

L’ultimo capitolo del testo di Levy affronta le funzioni tonali degli accordi composti. Un argomento vastissimo a cui lo stesso autore non dedica uno specifico approfondimento in quanto la finalità del suo libro sono prevalentemente di teoria musicale. Tuttavia alcuni suoi concetti sono utili per inquadrare l’evoluzione del continuum Armstrong-Parker-Coltrane e comprendere meglio le attuali direzioni del jazz.

Accordi a quarte, quinte, seconde, accordi atriadici, politonali, combinazioni di terze e accordi di settima naturale vengono classificati opportunamente individuando i suoni generatori interni.

In primo luogo Levy definisce il concetto di accordo come “un conglomerato di suoni organizzato da uno o più generatori”. Tuttavia l’assenza della terza in un gruppo di tre o più suoni non definiscono sufficientemente gli accordi che diventano appunto indeterminati.

Accordi per quarte e quinte. Appartengono a questa categoria gli accordi costruiti solo da quarte e quinte. La presenza della quinta infatti crea un accordo potenziale, o meglio un accordo pre-armonico. La presenza della quarta, intesa come rivolto della quinta, crea quindi delle armonie indeterminate.

Ad esempio l’accordo, in forma tellurica, Bb – F – D – G – C, è formato da due generatori Bb2 e C1. Può essere utilizzato come un accordo di triade maggiore di Bb in quanto è presente la nota D che è la sua terza.

      accordo a quarte

Tuttavia il suo ruolo di determinante è dubbioso proprio per la presenza di diverse quarte e quinte. L’accordo non è conclusivo e tende a muoversi parallelamente sopra e sotto con la medesima costruzione.

      accordi a quarte progressioni

Ha una natura iridescente e indeterminata anche quando si presenta in altre posizioni (cioè in altri voicings) compresi in un intervallo di quinta: ad esempio C – F – G oppure G – C – D o ancora Bb – C – F.

Proprio questa natura pre-armonica li rende particolarmente affascinanti.

È inevitabile non andare col pensiero all’uso intensivo degli accordi a quarte e quinte nel jazz soprattutto dopo gli anni 50 ad opera di Bill Evans e Mc Coy Tyner in contesti modali. Gli accordi costruiti a quarte/quinte sui gradi una qualsiasi scala hanno prevalentemente una funzione coloristica offrendo più libertà sia al solista sia all’accompagnatore all’interno e all’esterno del modo di riferimento.

Accordi determinati con diversi generatori non coordinati. Questa categoria è la più vasta e comprende gli accordi costruiti dalla combinazione di triadi e accordi di settima naturale, terze e seconde. Levy, data la vastità dell’argomento, ne tratta solo alcuni. Come ad esempio gli accordi minori settima, minori settima con la settima maggiore, di settima maggiore, nona e undicesima non alterati.

La generazione dell’accordo minore settima deriva dalla generazione di una triade maggiore in senso polare la prima, tellurica, ha come generatore C, la seconda, absolute, ha il suono E.

Levy definisce tale accordo bisexual in quanto può essere inteso sia come minore settima sia come maggiore sesta.

Il successivo accordo è costruito dalla sovrapposizione di due triadi. La prima è A- la seconda E maggiore. Tuttavia proprio la posizione tellurica della nota A fa prevalere la natura minore. Infatti l’accordo viene definito A-maj7.

Si tratta di un accordo spesso utilizzato da Bill Evans in riferimento ad una scala minore melodica ascendente.

L’accordo di settima maggiore è costituito da due suoni generatori: in basso (A) e in alto (G#) che creano due triadi maggiori la prima di A tellurico (A – C# – E) e la seconda di G# (G# – E – C#) absolute.

L’accordo di nona è ottenuto dalla compenetrazione di due accordi di settima naturale i cui suoni generatori sono la tonica e la nona. Si noti la identica costruzione partendo dal basso verso l’alto C -E -G- Bb e dall’alto verso il basso D – Bb – G – E

 

Analogo ragionamento vale per l’accordo di settima diminuita con suoni generatori C e F che vengono sottintesi. L’accordo così costruito è sia quello C7b9 sia di E diminuito con la medesima funzione di risolvere verso il IV grado.

In conclusione Levy affronta il tema della politonalità con una semplice ma efficace definizione: “per politonalità si intende la coesistenza di diversi sistemi (minimo due) di cui nessuno dei due è subordinato all’altro”. In altre parole i vari sistemi, o tonalità, devono essere assolutamente indipendenti tra loro. Qualora si riferissero ad un terzo sistema, anche in modo sottinteso, non si parla più di politonalità bensì di simultaneità funzionale. È evidente che risulta difficile mantenere questa “neutralità” a lungo. Per questo motivo si riesce a condurre una melodia politonale in senso stretto solo per brevi tratti.

      Politonalità

 

Claudio Angeleri 2017 – All rights reserved, any total or partial reproduction or copying is forbidden

 

 

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